Il 4 novembre 1966 avevo 12 anni.
I Beatles stavano per pubblicare il loro Sergent Pepper’s e io mi svegliavo piano piano allo stupore del mondo, pur rimanendo ben ancorato a quello dell’infanzia.
Ma il 4 novembre 1966 fu inanzittutto il giorno dell’Alluvione a Firenze.
Quel giorno il fiume Arno, che corre dalla sua sorgente sui monti Casentinia ad irrigare la Toscana, uscì dal suo corso normale per sommergere l’intera provincia e devastare letteralmente Firenze. Durante una settimana, senza sosta, condizioni meteorologiche terribili e tremende piogge si erano abbattute su più della metà dell’Italia, che si trovò così sottacqua, da Venezia fino alla Toscana. A Firenze nessuno aveva potuto prevedere le dimensioni del disastro. A casa nostra, a Lione, la televisione diffondeva in bianco e nero le prime immagini di una Firenze inondata, sotto le acque dell’Arno, mentre a Roma non ci si era ancora resi conto delle dimensioni della catastrofe . Mi ricordo le immagini dall’alto della città sommersa, ma anche di quelle del Duomo circondato, del Ponte Vecchio minacciato dalla furia sfrenata del fiume, delle piccole Fiat Cinquecento che sfilavano a tutta velocità, portate via dalla corrente per finire ammucchiate sottosopra nelle piazze e nelle strade.
Sono sempre vividi anche in me i ricordi di Santa Croce devastata, invasa dal fango, quando le porte cedettero alla pressione dell’acqua. Infine mi ricordo soprattutto le lacrime della mia mamma davanti alla vista del crocifisso di Cimabue, caduto nel fango con la tela strappata.
Venezia è, per modo di dire, sempre pronta a lasciarsi conquistare dall’acqua alta che sale lentamente, qualche volta molto in alto, ma sempre tranquillamente e lentamente, per ritirarsi in silenzio. A Firenze è un torrente in piena che ha colpito la città, strappando tutto al suo passaggio, portandosi via le macchine, i pullman e le biciclette, trascinandosi terra, tronchi, carcasse d’animali sorpresi nei campi della periferia e il combustibile di tutte le cisterne piene, riempite prima dell’annunciarsi dell’inverno. Tutto questo stava invadendo i negozi, la stazione, le chiese, i musei, e le riserve della Biblioteca Nazionale. |
Mi ricordo ancora della nostra visita a Firenze, l’estate successiva, mentre andavamo verso l’isola d’Elba. Cercavamo con lo sguardo le tracce che indicavano il livello raggiunto dalle acque sui muri scrostati del centro della città e del quartiere di San Frediano.
Ma se le immagini e i suoni si incidono nella memoria dei bambini in modo quasi definitivo, le loro tracce si ritrovano nel fondo della grande biblioteca dei ricordi, su scaffali di cui si dimentica l’esistenza. Il bambino cresce, prova a costruirsi con tutto quello che impara dalle esperienze, pensa soltanto al presente che dirige naturalmente verso il suo futuro, sembra dimenticare tutti i mattoni con i quali ha costruito la sua cultura, il suo approccio sensibile, le sue azioni creative.
Sono spesso tornato a Firenze, che mi è così familiare, ma per ragioni diverse, lontane dai capricci del fiume… Oggi, tre novembre 2016, sto registrando il fiume con l’obbiettivo di fare un ritratto sonore dell’ Arno… Superbe luci d’autunno sul fiume all’alba, … fa ancora freddo ma il sole invade lentamente lo spazio, asciugando progressivamente il prato che fiancheggia il fiume. Non un soffio di vento, quasi nessuno intorno. Dispongo i miei microfoni a terra, in una calma impressionante, per una registrazione che prevedo di almeno due ore. Scambio qualche parola con un pescatore che ha passato qui la notte, catturando pesci gatto… non fa rumore, la sua barca scivola silenziosamente e si raddoppia in bei riflessi netti. Un passante mi racconta della sua abitudine di recarsi qui in cerca di tartufi, con il suo cane… cerco di allontanarlo dai microfoni, ma lo ascolto, attento ai suoi aneddoti ricchi di insegnamenti. Come avrei potuto immaginare che, un giorno, cinquant’anni dopo l’alluvione, sarei tornato a Firenze per registrare l’Arno ? LUCI D’AUTUNNO SULL’ARNO |
Scritta su richiesta di «Tempo Reale», nell’ambito del progetto «Riva», cinquant’anni dopo l’Alluvione, Luci d’autunno sull’Arno tenta l’interpretazione di un ritratto possibile del fiume, realizzato a metà strada fra la Passarella dell’Isolotto e il Ponte all’Indiano, di fronte al parco delle Cascine.
Questo lavoro si inserisce nel quadro delle commemorazioni dell’Alluvione del 1966 ed è stato oggetto di un’installazione sonora per lo spazio culturale LE MURATE, creato di recente nelle vecchie prigioni della città dietro Santo Croce, totalmente ristrutturate.
Da qualche giorno provo a immaginare l’installazione sonora… cosa fare ? Esprimere ricordi, raccontare l’Alluvione, parlare di qualsiasi concetto, evocare un dramma, il carattere imprevidibile del fiume? Stavo dimenticando che la mia musica è concreta, quella che si sperimenta sul posto, con ciò che si trova . Una musica che si compone all’orecchio, che comincia microfono in mano, per finire sull’altoparlante.
Allora, prima di tutto, ascolto il fiume, la voce dell’acqua che scavalca due dighe molto vicine l’una dall’altra, questo rumore che si mischia con il ronzio così grave della città. Il traffico è intenso verso il Ponte all’Indiano, ma si mescola col suono di cascata, costante ed attutito… appena gli aerei che vedo tuffarsi verso l’aeroporto si staccano da quel paesaggio sonoro. E’ l’inizio dell’autunno, alcuni uccelli cantano, timidi, si alzano raggruppati in volo o rimangano sugli alberi nelle vicinanze. La luce toscana invade lo spazio, immergendo la mattina in puro oro liquido.
Il titolo della composizione sarà Luci d’autunno sull’Arno, semplicemente. Se ho già trovato un titolo, anche molto semplice, la composizione si disegna da sola. Non dirò nulla di speciale, mi limiterò a mostrare, ad invitare all’ ascolto. Il lavoro nello studio seguirà, accompagnato dall’esperienza del riascolto et dei ricordi del momento, già contorti dal tempo che fugge, mentre il microfono, lui, lavora con un’obiettività sconcertante. Mi basterà seguire cosa mi dicono i suoni e le impressioni vissute sul campo… microfono in mano.
Tornato nello studio, compongo, nello stesso tempo, per uno spazio all’aperto, il vecchio cortile delle carceri, diventato uno spazio accogliente, e per uno spazio interno, una grande sala arredata con poltrone posizionate per l’ascolto, la calma e la contemplazione di magnifiche fotografie del fiume. Per me, il ritratto del fiume si realizza in due maniere: l’immagine acustica figurativa e realista chiamata “dentro”, e l’immagine composta o piuttosto immagine acusmatica chiamata “fuori”.
(Acusmatico significa “l’ascolto senza vedere”, soltanto il suono. La parola risale al filosofo greco Pitagora che insegnava nascosto dietro una tenda per fare lavorare l’ascolto, l’attenzione e la memoria dei suoi discepoli . In musica elettoacustica, siamo nella stessa situazione : ascoltiamo suoni che vengono dalle casse e non vediamo mai le persone che ci parlano, glistrumenti, le cose con le qualiregistriamo tutti i suoni, neanche il compositore, nascosto in regia o dietro il pubblico).
L’immagine acustica, rappresentazione di una situazione naturale all’aperto, viene proposta qui all’interno, in uno spazio chiuso. L’attenzione è rivolta alla restituzione dello spazio e alla sua profondità di campo in un grande piano fisso. Dallo sfondo sonoro permanente e regolare della città, emergono voci lontane venute dall’altra riva, mentre alcune spezie di uccelli ancore presenti all’inizio dell’autunno si sentono discretamente intorno a me: un picchio verde, l’usignolo di fiume, una cinciarella, una cinciallegra, molti pettirossi, le immancabili cornacchie nere, un martin pescatore veloce come un fulmine ed enormi nuvole di stormi e moltissime pappagalline con la collana che volano sul fiume , scappate dalla loro prigione e che gradualmente hanno colonizzato il parco delle cascine. Nello stesso tempo, lo spazio all’aperto si presta ad una immagine composta, discreta, dedicata al canto dell’acqua registrato da molto vicino. Gli strumenti per l’elaborazione del suono mi permettono variazioni sul tema della goccia d’acqua, della pioggia, fino alla rappresentazione macroscopica da cui emergono ritmi e melodie in uno spazio ricostruito, ricomposto, soprannaturale Oggi, finalmente durante il confinamento del 2020, molte istituzioni culturali hanno utilizzato del tempo “inattivo” per ordinare, catalogare, classificare, inventariare … é stata l’occasione per «Tempo Reale» di lavorare al suo progetto clockclacked e di includere «Luci d’autunno sull’Arno» tra tutta una serie di installazioni sonore che costituiscono un vero e proprio repertorio https://clockclacked.temporeale.it/project-description La parte dell’installazione destinata all’interno ha per titolo DENTRO, mentre la parte ascoltata nel chiostro a per titolo FUORI. In questo link si possono trovare altre informazioni e sopratutto si possono sentire estratti dall’installazione sonora |
GRAZIE A GEORGINA, SARAH E JACQUELINE PER L’AIUTO NELLA TRADUZIONE DEL TESTO IN ITALIANO.
E PER FINIRE, UN PICCOLO VIDEO: